La povertà è uno dei giuramenti che i membri della Chiesa Cattolica accettano di seguire. La loro povertà dice al mondo che si può vivere tra i beni temporali e si può usare dei mezzi della civiltà del progresso senza farsi schiavi di nessuno di essi (Paolo VI). In Sacre sfilate Luca Scarlini, eccentrico, colto e bizzarro analista e critico del costume contemporaneo, e non solo di quello, ci ricorda che è sempre più vero il detto «l’abito fa il monaco»; e dunque, senza abiti, costumi, vestimenti, addobbi, tessuti, colori, decorazioni, cerimonie, la Chiesa cattolica non sarebbe quello che è stata e continua, nonostante tutto, a essere.
Scarlini elenca i meravigliosi costumi e dei paramenti sacerdotali in uso a cardinali e papi: almuzia, amitto, pallio, croccia, falda, cocolla, camauro, cappa, casula, fanone, camice, pianeta, rocchetto, tunicella, succintorio, velo, zucchetto, manipolo, stola, dalmatica, cotta, piviale, triregno, mozzetta, guanti, sandali, ombrelli. E poi subito dopo fa la storia, in modo vivace e mosso, dei vestiti che ricoprono i corpi dei Papi, partendo da Pio IX sino ad arrivare a papa Ratzinger. Il défilé che scorre davanti a nostri occhi è suntuoso, degno di Mater Ecclesia, naturalmente con alcune cadute di tono coloristico, come nel bianco e nero dell’amletico Paolo VI, o nell’altalenante costume moderno del suo predecessore, Giovanni XXIII, con cui comincia la deprecabile moda del clergyman, per quanto gli altri prelati si siano serviti, anche in questo caso, sempre dell’alta sartoria.
Il lusso fa parte del rito del potere spirituale, e quello sartoriale ha inizio con l’età delle rivoluzioni moderne, quasi a rimarcare la separazione tra il mondo laico e quello sacrale. L’uso della seta, con cui sono confezionati abiti di Papi e prelati, è la scelta obbligata in una realtà che nulla ha di povero.
Sacre sfilate racconta come e perché si è arrivati al culmine della strategia sartoriale con gli due ultimi Papi: Giovanni Paolo II superstar, ovvero il glamour viaggiatore; e Benedetto XVI, ovvero papa Prada per noi. Aitante, atletico, macho, rockstar della comunicazione mediatica, Karol Wojtyla è un attore, colui che, con l’altro attore, Ronald Reagan, liquida il comunismo dell’Est; è un fop, termine che indica un dandy «per cui l’eleganza diviene un tratto morale, una presa di posizione etica nella realtà». Le scarpette «rosso Dorothy» di papa Ratzinger sono invece il segno del cambio di stagione nel glamour d’Oltretevere, per cui il nuovo look coincide con lo chicchissimo ritorno alla messa in latino, ma anche con l’uso degli occhiali da vista Cartier demi-lune modello Santos, mentre quelli da sole sono un aggressivo paio di Serengeti, sponsorizzati da Val Kilmer, e poi da Alain Prost. Così Benedetto XVI è schizzato verso l’alto nella lista compilata da Esquire degli uomini più eleganti del mondo.

Sotto l’apparente ironia, la citazione colta, che spazia dal romanzo al film, dalla griffe di moda alla storia ecclesiale, Scarlini veicola un giudizio secco e sicuro sui Papi degli ultimi due secoli, e in particolare sugli ultimi tre o quattro. Anche in Vaticano, dopo il machismo di papa Wojtyla, si è virato verso la moda tout-court, gran collante della società attuale, la quale sembra risolvere il problema del conflitto tra sacro e profano, tra vita pubblica e vita privata. Come aveva previsto Fellini negli Anni Settanta, il sacro della moda si è imposto anche sul sacro della religione, ne è diventato, attraverso i capi di vestiario e i cosiddetti complementi d’abbigliamento, la vera immagine. Il fasto non è solo una supervilla in Sardegna, ma anche un paio di scarpette rosse Prada che spuntano sotto la bianca veste sul soglio di Pietro.

Di LaDea

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